ABORTO: TRA IL DIRITTO ALLA VITA E IL DIRITTO ALLA SCELTA
Quando si parla di interruzione volontaria di gravidanza, lo si fa a voce bassa e con lo sguardo imbarazzato di chi cambierebbe volentieri discorso; questo perché è un fenomeno complicato, che può essere caratterizzato da un senso di colpa, a volte pentimento, dalla difficoltà ad andare avanti “cambiando pagina”, come se fosse uno dei tanti momenti di difficoltà di passaggio nella vita di una coppia e ancor di più in quella della donna. Un aborto volontario, infatti, può portare con sé: attivazioni fisiologiche, senso di colpa, ansia, rimpianto e depressione. La tendenza naturale dell’individuo è naturalmente quella di mantenere un’ideale immaginario, che non venga in alcun modo alterato da momenti di “crisi accidentali”, difficile da accettare perché, appunto, inaspettate, non comuni a tutti gli uomini e talvolta di grave entità. In alcuni casi un evento di questo tipo può generare nella donna una sindrome chiamata Sindrome Post Aborto che ritroviamo tra i disturbi post-traumatici da stress. In cui sono presenti:
- Difficoltà nella comunicazione e nelle relazioni
- Difficoltà a livello emotivo, come l’ansia
- Difficoltà a livello sessuale
- Difficoltà nell’alimentazione e nel sonno
- Presenza di flashback dell’aborto.
Prima del 1975 l’aborto era sanzionato da dalle norme contenute nel X titolo del II del codice penale. Con la sentenza n 27 della Corte Costituzionale che afferma che “non esiste equivalenza tra il diritto non solo alla vita ma anche alla salute di chi è già persona, come la madre e la salvaguardia dell’embrione che persona deve ancora diventare”. Il 22 Maggio 1978 si arriva alla promulgazione della Legge n°194, in vigore ancora oggi, dove la pratica abortiva viene indicata con l’espressione “interruzione volontaria della gravidanza”, espressa con la sigla i.v.g. Tale normativa divide la vita intrauterina in tre periodi:
1. Il primo coincide con i primi novanta giorni della gestazione, in questo periodo l’aborto è permesso senza alcun limite.
2. Il secondo è quello compreso tra il quarto mese di gravidanza e la possibilità di vita autonoma del feto; qui l’aborto è consentito solo per motivi terapeutici (come ad esempio, la salute psichica della donna) ed eugenetici (possibili timori di malattie per il nascituro),
3. Il terzo periodo è infine quello compreso tra il momento di vitalità del nascituro e la nascita, durante quest’ultimo periodo, l’aborto è praticabile solo se la vita della donna è in pericolo.
Dal 2010 è possibile abortire anche con metodo farmacologico (RU486): la pillola abortiva, questa, può essere somministrata non oltre la settima settimana di gravidanza (49 giorni dall’ultima mestruazione).
Le motivazioni per cui una donna o una coppia possono decidere di interrompere una gravidanza possono essere molteplici, dalle difficoltà economiche ad una “mancanza di spazio psichico/fisico” di ciascun membro della coppia. Inoltre, dietro ad un possibile desiderio di maternità, non necessariamente vi è il desiderio di gravidanza. Nella decisione di diventare genitori è indispensabile oltre alla volontà anche il sentirsi pronti, il ritenersi adeguati a stabilire una relazione che durerà per il resto della propria vita con un altro individuo, che è dipendente da noi, che ha necessità di essere amato, accudito e protetto. Considerata la responsabilità, la libertà di scegliere valutando ciascun fattore può essere un diritto dell’individuo in causa? Alcuni “slogan” di consultori familiari pubblici in rappresentanza della legge 194/78 enunciano a grande voce: “SOLO TU HAI IL DIRITTO DI DECIDERE SE VUOI O NO PROSEGUIRE LA GRAVIDANZA” e danno chiare informazioni su quale sia la procedura da seguire e quali possono essere gli eventuali rischi . L’Organizzazione Mondiale della Sanità definisce aborti non sicuri, quelli effettuati da persone non qualificate, con attrezzature pericolose o in strutture prive di norme igieniche. Gli aborti legali effettuati nei paesi sviluppati sono tra le procedure più sicure nel campo della medicina. La diatriba però, è molto accesa. Se da una parte abbiamo gli “antiabortisti” le cui ragioni possono essere di natura religiosa o moralista, dall’altra ritroviamo coloro che credono nella libertà di agire, di pensare, di vivere seguendo semplicemente il diritto al cosiddetto “libero arbitro” e desiderano agire gridando a gran voce, in virtù di tale diritto. Qualcuno però potrebbe chiedersi perché una donna dovrebbe provare rincrescimento dopo aver abortito? O meglio perché dovrebbe provare più rincrescimento che dopo avere avuto rapporti sessuali con contraccettivi? A tale quesito non troveremo una risposta giusta e una sbagliata. Tematiche di questo tipo, hanno necessariamente pareri differenti. Il valore che possiamo o non possiamo dare al feto sin dalle prime settimane di gravidanza è un pensiero molto personale, spinto dalla cultura di riferimento, dalla morale che si segue e sicuramente anche dal proprio credo religioso. Locke per esempio ritiene che la persona si identifichi con l’atto del pensiero, per Hume la persona è l’oggetto intelligente capace di passione, è capacità di relazione, mentre per Hegel diventa la coscienza di sé.