Paura di mangiare: Quando ciò che facciamo per proteggerci dalla paura ci terrorizza ancora di più
Tutti gli esseri viventi inseguono il piacere e rifuggono il dolore e la paura. Tuttavia, noi esseri umani dimentichiamo che fuggire non significa solo mettere in atto comportamenti di evitamento fisico, poiché, innanzitutto l’evitamento è un’attività mentale. Facciamo di tutto per evitare di sentire sensazioni fisiche disturbanti al fine di annullare le sensazioni di paura e ansia. Dinanzi, ad un’esperienza destabilizzante di forte angoscia e panico subentra l’aspettativa di paura: accadrà ancora e sarà terribile. Si tratta del fenomeno definito “paura della paura” che ci conduce ad un controllo repressivo. Spaventarsi delle proprie sensazioni, infatti, è la più comune causa di attacchi di ansia e panico.
“Il vero demone è nel percepirsi”
Eraclito.
Sono sempre più comuni le richieste cliniche che ricevo in merito ad uno specifico disturbo noto come anginofobia. Si tratta di un disturbo che può avere diversi livelli di gravità e intensità e colpire in diverse fasce d’età.
Che cos’è l’anginofobia?
L’anginofobia rappresenta la paura di morire soffocati in seguito all’assunzione di cibo, poichè potrebbe andare di traverso. Si contraddistingue dalla disfagia e dalla iper-riflessia faringea, disturbi della deglutizione. Nell’anginofobia, la paura che insorge non dipende dall’azione del deglutire, infatti, la persona teme il possibile soffocamento.
Come si sviluppa?
Spesso, si riscontra una precedente esperienza traumatica con un alimento andato di traverso oppure l’aver assistito ad una situazione simile. Tuttavia, sappiamo che non è la situazione in sé la ragione per cui insorge un disturbo fobico, ma il modo in cui la persona percepisce e reagisce, al fine di gestire la paura. Se fuggire, inizialmente limita l’escalation panicante, rimane, il primo strumento disfunzionale di gestione della paura.
L’evitamento produce, infatti, esiti psicopatologici a più livelli, di seguito solo alcuni esempi:
- se fuggiamo dai luoghi costruiamo agorafobia o claustrofobia;
- Se fuggiamo dai ricordi costruiamo ossessioni traumatiche;
- Se fuggiamo dalle relazioni costruiamo paranoia sociale;
- Se fuggiamo in modo maniacale lo sporco costruiamo un disturbo ossessivo-compulsivo; ecc…
Così, tutto ciò che faccio per gestire il problema ed evitare di sperimentare la paura, l’angoscia, contribuisce allo strutturarsi di un meccanismo patologico che mantiene e alimenta il problema invece di risolverlo.
Spesso, la paura di un male ci conduce ad un male peggiore.
Ballau
Cosa può peggiorare il disturbo?
Nel caso specifico, quali sono i tentativi di soluzione disfunzionale che invece di risolvere il problema lo alimentano? Al primo posto, ritroviamo le restrizioni alimentari: come in una vera regressione alimentare, al pari dell’età di svezzamento, ricorreremo al frullare o omogenizzare i cibi. Comprensibile l’angoscia e anche lo sviluppo di un altro evitamento, quello delle situazioni sociali: cene con gli amici, feste e in generale la consumazione di pasti fuori.
Parafrasando il prof. Giorgio Nrdone “ogni evitamento conferma la pericolosità della situazione evitata e prepara l’evitamento successivo.
Come si cura?
L’approccio breve strategico gode di efficacia ed efficienza per il trattamento dei disturbi fobici e ossessivi in generale. Con il termine efficacia intendiamo la capacità di risoluzione del problema: sin dalla prima visita l’obiettivo sarà quello di comprendere il funzionamento e mantenimento del problema, per poter individuare i meccanismi disfunzionali che lo alimentano. L’individuazione delle tentate soluzioni disfunzionali, consente di lavorare proprio sul sistema percettivo reattivo disfunzionale. Il protocollo di intervento prevede, inoltre, delle particolari strategie che conducano la persona a sperimentare ciò che in clinica definiamo esperienza emozionale correttiva per modificare la sua percezione, trasformandola da disfunzionale in funzionale. Quando il disturbo colpisce i bambini, chiaramente il percorso è più complesso poiché un’intervento davvero efficace prevede un approccio sistemico al fine di intervenire anche sulle tentate soluzioni disfunzionali dei genitori o degli adulti coinvolti nella sua educazione, che con le migliori intenzioni potrebbero rischiare di alimentare ulteriormente il problema. Tale approccio clinico, ha un fine e una fine: l’obiettivo è la totale risoluzione del problema o lo sblocco del problema entro 10 incontri! sembra utopia vero? comprensibile la diffidenza… ancora una volta, mi sento di parafrasare il prof. Giorgio Nardone: una scienza esatta non dissimula dalla magia!