ANSIA: MANO ALLA GOLA E FAME D’ARIA
L’ansia è quella condizione psicofisiologica che ti costringe a bloccarti, a concentrare tutte le tue attenzioni sul corpo, su ciò che sta avvenendo con prepotenza. L’ansia è una mano alla gola e un nodo al petto, è prendere continuamente fiato perché manca l’aria, è sentire il cuore accelerare; questo può avvenire in qualunque momento della giornata: mentre guardi la tv, mentre stai cucinando o ti trovi in auto. Sei in quella che si definirebbe una condizione “calma” ma lei arriva ed è violenta e se le lasci prendere il comando ti rende gli arti inferiori quasi paralizzati, le mani tremanti, gli occhi annebbiati e il cuore batte talmente tanto rapidamente che sembra uscire dal petto; il tutto accompagnato da quelle piccole ma continue fitte che sembrerebbero il preludio di un infarto. In questa situazione sociosanitaria senza precedenti, che ci rinchiude in casa, che rende le piccole azioni quotidiane, come fare la spesa o sbrigare delle commissioni faticose e preoccupanti il nostro corpo è sempre in allerta. Non siamo mai certi che possa trattarsi di fame d’aria dovuta ad un’attivazione ansiogena o a vera e propria criticità respiratoria e basta accendere la tv o aprire i social per essere bombardati da notizie di continui decessi e aumenti di casi positivi al Covid 19. Così, da una parte la paura della malattia che causa stati di ansia e dall’altra l’ansia che ci fa temere di avere la malattia. Quelli che erano i momenti più sereni della giornata come i pasti e il riposo sono diventati una routine forzata e quelle che erano le situazioni di disagio o di malessere precedente allo scoppio della pandemia, oggi, sono macigni ingombranti che si sommano alla paura di ammalarci, di venire a conoscenza della positività di un nostro caro e addirittura di poter morire.
“Dottoressa non avevo mai sentito questa stretta forte al mio cuore, non faccio che prendere aria, cerco di bere, di dirmi che va tutto bene ma il mio cuore va all’impazzata e ho tanta paura, così, inizio a piangere e ad agitarmi al punto da avere la vista annebbiata e le mani tremanti. Ho l’impressione di morire soffocata. Mi sembra di essere l’unica persona al mondo che è terrorizzata, triste e sola. Guardo le persone godere di questo tempo per vivere vicino alle persone che amano e io sono immobilizzata dai miei dolori e dalle mie angosce, che mi tengono sveglia anche la notte. Rimango a fissare il soffitto con gli occhi spalancati e la mano sul petto ogni notte e vorrei tanto che chi amo avesse voglia di confortarmi e rendermi serena e invece no, sono sola e ho paura! Mi ritrovo ancora una volta davanti il dolore della mia mancanza di valore e della mia incapacità di controllare me stessa e la mia vita e così, il respiro manca ancora di più fino alla crisi di pianto… solo dopo circa una o due ore inizio a tranquillizzarmi, ma sono ore di tormento e se per un attimo mi torna in mente anche la malattia che sta colpendo il mondo, allora, penso di essermi ammalata, di finire intubata, immobilizzata in un letto di ospedale a guardare la mia vita scorrere via. Anche se, in fondo, anche adesso lo sto facendo: vedo me stessa osservare dalla finestra la vita degli altri, i ricordi che costruiscono insieme, i baci e gli abbracci che io desidererei tanto, che non faccio altro che elemosinare.”
Quando un paziente mi racconta dei suoi attacchi improvvisi di ansia, inizia sempre con espressioni del tipo “…stavo bene e poi all’improvviso…” “…non c’è nulla che mi preoccupa…” “…è tutto normale come era prima…”. La nostra mente è sempre “in lavorazione”, e quando non le concediamo lo spazio di cui ha diritto trova il modo di farsi sentire. Non è strano che pensieri che prima ci turbavano ma comunque riuscivamo a gestire, oggi, potrebbero via via divenire attacchi di ansia o addirittura di panico, disturbi del sonno, incapacità di regolare la nostra assunzione di cibo o di alcol, ecc.
Bisogna convivere con l’ansia?
L’ansia è nostra alleata ma solo se ne facciamo buon uso! Ci sta comunicando che non riusciamo più ad “ingoiare il rospo” che stiamo continuando a buttare cose dentro un contenitore già stracolmo. È arrivato il momento di fermarci, di avere per un attimo il coraggio di ascoltare cosa ci sta facendo soffrire e poi analizzare se possediamo delle strategie per poter cambiare le cose. Ai miei pazienti dico sempre che se non si possono cambiare le cose bisogna cambiare la nostra percezione delle cose per imparare a gestirle, per imparare a gestire le emozioni che ci suscitano.
Come posso uscirne?
Forse ti stupirà sentirlo, ma, non sempre la meditazione, l’ascolto di musica rilassante o lo sport bastano. Mi piace accogliere le richieste dei miei pazienti come si fa in sede di pronto soccorso, ovvero dando un immediato rimedio: che nel nostro caso si traduce in strategie valide ed efficaci per imparare a gestire gli stati d’ansia quando si presentano, per poi lavorare sul contenuto del proprio malessere con opportune ristrutturazioni cognitive; affinché, il sintomo (l’ansia) scompaia come naturale conseguenza della scomparsa del malessere.
Dallo psicologo bisogna andare per anni?
Molte persone sono scoraggiate dall’idea che andare dallo psicologo significhi iniziare un percorso che ha un inizio ma non ha mai una fine. La psicologia è una professione sanitaria e come tale ha il solo ed unico obiettivo di promuovere il benessere del paziente e per fare questo non servono anni e in alcune situazioni “lo sblocco” arriva in un paio di mesi. Ai miei pazienti do sempre 10 incontri per confrontarci sui cambiamenti avvenuti e quando abbiamo ottenuto i risultati desiderati, se non sono presenti obiettivi nuovi, il mio intervento è concluso.