Il lutto e il Covid-19: il cordoglio mancato
L’esperienza emotiva più dolorosa che possiamo vivere è la morte di una persona amata. Dopo un lutto importante, il nostro mondo personale non potrà mai più essere lo stesso senza la nostra persona amata, un figlio, un genitore, un nonno.
Come si può parlare allora di risoluzione del lutto? Quando possiamo definire un lutto risolto? I lutti sono risolvibili? Cosa intendiamo con questo termine? il lavoro psicologico del lutto ha bisogno innanzitutto di tempi adeguati, di rituali condivisi, di assistenza emotiva. Il cordoglio dopo una dolorosa perdita, con il tempo perderà la sua forza, ma la mancanza fisica ed emotiva della persona cara rimarrà per sempre.
“non smetto di desiderare di sentire la sua voce. Mi manca perfino il suo modo di tossire, di sgranchire la voce… continuo a pensare a quanto sarebbe bello abbracciarlo e chiedergli di raccontarmi ancora una volta quelle storie dette e ridette, che quando lui era in vita…trascuravo di ascoltare…”
Freud, dopo la morte del suo nipotino, nel 1923, scriveva a Binswanger
“È noto che il cordoglio acuto dopo una tale perdita passerà, ma si resta inconsolabili, non si troverà mai un compenso. Tutto ciò che può subentrare, anche se riempisse il posto vuoto, resta qualcosa di diverso. E a dire il vero, è giusto che sia così…”
Il lutto adempie a un compito psichico preciso: distaccarci dalla persona venuta a mancare. Il processo di elaborazione del lutto implica infatti, il nostro tentativo riuscito di accettare l’irreversibilità della perdita e la capacità di organizzare il nostro mondo emotivo e relazionale. Spesso, per trovare un modo di mantenere un legame sicuro con chi è venuto a mancare, riconoscendo al tempo stesso che la persona non è più fisicamente disponibile, sentiamo il bisogno di trovare risposte rassicuranti ad interrogativi complessi:
dov’è andato chi non c’è più? Dove si trova ora?
Per la nostra mente, infatti, non è possibile pensare e concettualizzare il non essere, la non esistenza. Per tale ragione, sentiamo la necessità di accedere alle nostre convinzioni filosofiche, spirituali e/o religiose per trovare risposte confortanti.
È il rito funebre che assolve la funzione di agevolare il distacco. Attraverso la rappresentazione del dolore, infatti, si riduce il senso di solitudine di noi familiari che possiamo ricevere supporto emotivo e fronteggiare l’angoscia. Le misure restrittive e di distanziamento sociale attuate a causa dell’emergenza sanitaria Covid-19, tra le altre cose, hanno impedito la celebrazione dei riti funebri. Così, mentre aumentava il rischio di esposizione alla malattia, la paura per la percezione di pericolo e l’esposizione alla morte, aumentava altresì, la percezione di solitudine.
Il funerale non ha solo una funzione religiosa e socioculturale ma, assume un valore psicologico-emotivo significativo. Lo scopo, infatti, è sempre stato mitigare l’espressione del dolore e accompagnare la persona venuta a mancare. Così, si cura il suo aspetto e si chiede il perdono. In questo senso, unirsi ai propri cari nel dolore è essenziale nella condivisione del cordoglio di una comunità e nella gestione emotiva della propria sofferenza.
Le restrizioni impartite per la tutela della salute dei cittadini hanno così costretto i familiari in lutto a vivere in totale solitudine il dramma della separazione dal proprio caro, privandosi di condividere l’ultimo saluto e le manifestazioni di amore.
“in Chiesa, non sono entrati i miei amici… il prete non voleva nemmeno che ci sedessimo vicini se non vivevamo nella stessa casa… io me ne sono fregata… non avrei mai lasciato sola mia madre… non era consentito avvicinarci agli altri…era assurdo, ero arrabbiata… non mi fregava nulla in quel momento delle regole…lui era lì, anzi non c’era più… ero arrabbiata…”.
Se da una parte l’emergenza sanitaria ci ha privato della possibilità di celebrare i riti funebri e di condividere quindi la nostra sofferenza con familiari e amici, un ulteriore dramma è stato segnato dall’impossibilità di stare con i cari venuti a mancare proprio a causa della suddetta malattia.
“sapevo che era lì da sola, non mi facevano entrare… dicevano di stare tranquilla… avrei dovuto spaccare tutto, non mi doveva importare… sento di averla abbandonata… come ho potuto?”
L’angoscia e la sofferenza risultano esacerbate dalla negata vicinanza ai propri cari e dalla percezione del senso di impotenza, connesso, poi, al rito funebre mancato. Le emozioni di rabbia e impotenza si mischiano all’angoscia e allo sconforto per l’impossibilità di congiungerci al corpo della nostra persona cara nella celebrazione del rito: condizioni che facilitano il superamento della fase di negazione. La prima fase del lutto, infatti è caratterizzata da stordimento e incredulità che di solito ha la durata di qualche ora, ma, che nei casi di lutto complicato può durare anche molto a lungo. Durante gran parte del primo anno di lutto persiste la disperazione che deriva dall’accettazione che gli sforzi per riavere la relazione perduta sono senza speranza.
“…Ogni volta che qualcosa non va penso che vorrei sentirlo, sentire le sue rassicurazioni e il suo conforto… vorrei chiamarlo, vorrei dirgli tutto ciò che vuole sapere con qualche sorriso in più e con tanti ti voglio bene e grazie… ma, non c’è… e non mi risponderebbe, anche se per me è lì, seduto sul divano…”
L’accettazione della perdita, poi, nei due-tre anni seguenti sarà il sottofondo emotivo che non ci abbandonerà. Il tutto, accompagnato da uno scenario di guerra che persiste: isolamento sociale, misure di sicurezza per la tutela della propria e altrui salute, paura della malattia e il timore di nuove rigide restrizioni. In tale circostanza, già dolorosa, si aggiunge la difficoltà del confronto con la realtà che la persona è morta, se n’è andata e non tornerà mai più.
Affinché la relazione con la persona cara venuta a mancare possa essere mantenuta in modo sano, è necessario riconoscere che la persona non c’è più e comprendere pienamente tutte le implicazioni della morte e iniziare a contemplare di reinvestire nella nuova vita. Ad esempio, è normale che una donna che ha perduto il marito rifletta su come il marito avrebbe fatto in una particolare situazione e poi considera questa alternativa nel decidere cosa fare; non è altrettanto sano se sentisse di dover agire come avrebbe voluto il marito. Quest’ultima situazione, infatti, denota l’incapacità di abbandonare l’investimento emotivo nella relazione con lui. Il ricordo di chi amiamo e il vissuto emotivo doloroso accolto e non negato e/o rifiutato consente di mantenere viva la relazione con i nostri cari; in questo senso, la partecipazione a rituali quali la celebrazione di anniversari, commemorazioni o memoriali specifici di attività simboliche correlate alla persona venuta a mancare ci permette di conservare un posto prezioso nella nostra vita alla persona amata e attribuisce un gran valore al nostro legame.
“La morte è terribile non per il non esserci più ma, al contrario, per l’esserci ancora e in balìa dei mutevoli ricordi, dei mutevoli sentimenti, dei mutevoli pensieri di coloro che restavano.”
LEONARDO SCIASCIA